La pace possibile nell’età della guerra ibrida

Si fa la guerra per raggiungere la pace: tutti – buoni e cattivi, aggressori e aggrediti – combattono per costruire un nuovo equilibrio, basato su accordi che consentano loro di ristabilire condizioni di convivenza migliori (o almeno accettabili). La pace, purtroppo, non è uno stato di natura, ma un compromesso tra volontà e interessi in conflitto; è dunque un «patto», termine che non a caso ha la stessa radice indoeuropea (*pak-s, *pak-tum). La sola eccezione è la resa senza condizioni, la debellatio, che mette la parte soccombente alla completa mercé dei vincitori: altrimenti bisogna parlarsi, trattare, arrivare a un accordo. Perché si possa stipulare un pactum sono necessarie non soltanto reciproca fiducia, ma la possibilità di controllare l’applicazione e il rispetto delle clausole. Tutto questo, negli ultimi decenni, è stato reso più difficile dalla forma «ibrida» assunta da molti conflitti.

La Hybrid Warfare (HW) è stata definita come «il simultaneo manifestarsi di differenti modi di condurre la guerra da parte di avversari flessibili ed evoluti, i quali comprendono come per ottenere il successo sia necessario ricorrere a una varietà di forme tattiche concepite per raggiungere specifici scopi in un determinato lasso di tempo

Nel 2013 il generale Valerij Vasil’evič Gerasimov, capo di Stato maggiore della Federazione Russa, notava come «le stesse regole della guerra sono cambiate significativamente. Il ruolo dei mezzi non militari, che in alcuni casi sono molto più efficaci delle armi per raggiungere obiettivi politici e strategici, è aumentato. L’enfasi dei metodi di guerra utilizzati si sta spostando verso l’uso su larga scala di misure politiche, economiche, informative, umanitarie e altre misure non militari, catalizzate con lo sfruttamento del potenziale di protesta della popolazione. Il tutto è completato da misure militari coperte, compreso l’uso della guerra d’informazione e delle forze speciali».

Come si può leggere sul sito ufficiale della Nato, «le minacce ibride combinano mezzi militari e non, nonché mezzi occulti e palesi, tra cui la disinformazione, i cyberattacchi, la pressione economica, il dispiegamento di gruppi armati irregolari e l’uso di forze regolari. I metodi ibridi sono utilizzati per confondere i confini tra guerra e pace e tentare di seminare il dubbio nelle menti delle popolazioni-bersaglio. Mirano a destabilizzare e minare le società. Negli ultimi anni la velocità, la portata e l’intensità delle minacce ibride sono aumentate.

Per comprendere meglio il fenomeno della guerra ibrida, con i suoi possibili sviluppi e implicazioni, è bene chiarire come ne esistano due tipologie differenti: in primo luogo la «HW autonoma», ossia una campagna condotta impiegando i mezzi descritti senza ricorrere contemporaneamente all’uso diretto della forza, e quindi senza mai attraversare il confine tra pace e guerra «vera» (quest’ultima caratterizzata dall’uso aperto della forza militare da parte di un soggetto di ius publicum legittimo e riconosciuto: in sostanza, un governo sovrano). Vi è poi quella che potremmo definire «HW parallela», che si sviluppa, nella cornice di un conflitto convenzionale, a sostegno delle operazioni ad alta intensità in corso contro il medesimo avversario.

È abbastanza evidente come la ricerca di una pace stabile dipenda anche dal tipo di guerra a cui si vuole porre fine. Se uno o entrambi gli avversari conducono una campagna di«HW parallela», infatti, la presenza di elementi ibridi non potrà far altro che complicare la risoluzione della crisi, causando reciproca diffidenza e sfiducia sulla possibilità di arrivare a una completa cessazione delle attività ostili dopo la firma del trattato.

Ancora più complesso, se possibile, è il caso della «HW autonoma», condotta al di fuori di un conflitto convenzionale riconosciuto. In questa situazione anche i governi legittimi coinvolti operano come fossero sotto copertura, giovandosi della plausible deniability (la possibilità di negare il proprio coinvolgimento in maniera plausibile) garantita dal carattere delle operazioni ibride. Tutti, ad esempio, sapevano che gli «omini verdi» inviati a prendere il controllo della Crimea nell’ultima settimana di febbraio del 2014 erano russi, ma l’assenza di distintivi, la rapidità e l’abilità con cui venne condotto il colpo di mano permise a Mosca di non attraversare la fatale soglia della guerra. In situazioni del genere – destinate purtroppo a ripetersi spesso, soprattutto in Paesi dove vi siano elementi di criticità politica, economica, demografica o altro – diventa quasi impossibile uscire da un conflitto di cui non esiste un responsabile che possa risponderne. Dunque non viviamo soltanto in un’epoca di hybrid warfare: ci troveremo sempre più spesso a fronteggiare situazioni di «pace ibrida», che si trascineranno nel tempo senza consentire alle parti in causa – e a tutti noi – di respirare liberamente.


Adattato dall’omonimo articolo della rivista “il Mulino”. Clicca qui per leggere la versione integrale. A cura di Gastone Breccia, a cui attribuiamo anche i crediti dell’immagine di copertina.