L’Accoglienza dei migranti in Italia

L’attenzione è stata attirata sull’Albania, ma le trasformazioni sono avvenute in Italia: il decreto Cutro ha minato il sistema di accoglienza, trasformando l’immigrazione in una questione di sicurezza nazionale

“Dare i numeri”, nell’affrontare in concreto la gestione del fenomeno migratorio in Italia, è forse l’unico modo per giungere a una corretta percezione della realtà, con buona pace delle espressioni proprie della lingua italiana.

A maggio, più di 7.000 migranti sono sbarcati sulle coste nazionali, portando l’ammontare complessivo di arrivi via mare, da gennaio 2025, a circa 24 mila unità. […] Il tutto in un contesto più ampio, dove alle quasi 160 mila richieste di asilo presentate presso le Commissioni territoriali nel 2024 hanno fatto da contraltare soli 5.414 rimpatri dall’Italia.

Appare dunque evidente come l’attenzione politica e mediatica che in questi mesi ha catalizzato il Protocollo Italia-Albania del 6 novembre 2023, per quanto giustificata dalle serie problematiche di civiltà giuridica che solleva […], abbia principalmente operato quale strumento di “distrazione di massa”, avvalorando l’idea che i muri si possano effettivamente costruire, che i porti si possano veramente chiudere e che i non-cittadini si possano efficacemente allontanare in massa […]

Così facendo, però, si decide di ignorare l’incontrovertibile trasformazione dell’Italia da terra di emigrazione a terra di immigrazione, una delle cui priorità dovrebbe essere quella di confrontarsi in modo compiuto con l’oramai stabile porzione migrante della propria popolazione […]

Ma qual è l’attuale stato di salute del sistema di accoglienza e integrazione in Italia? […] Siamo in presenza di un malato in gravi condizioni, per quanto riguarda sia i diritti dei suoi fruitori immediati (i migranti stessi), sia i pubblici interessi sottesi (e, quindi, il benessere dei fruitori indiretti, ossia la collettività tutta).

[…] Il decreto Cutro del 2023 ha infatti riportato le lancette dell’accoglienza al 2018, riproponendo (meglio, amplificando) le scelte compiute con il “decreto sicurezza Salvini”, il cui impatto sulla sorte dei richiedenti asilo presenti nel territorio italiano era stato però oggetto di una significativa risonanza mediatica […]

Oggi, invece, l’accesso al Sai è riservato ai soli titolari del diritto d’asilo, ai minori stranieri non accompagnati e, “possibilmente” (così il decreto Cutro), ai soggetti in condizione di vulnerabilità. Invece, i richiedenti protezione […] restano confinati nei Cpa e nei Cas, i quali perdono il ruolo di “aree di transito” per divenire luoghi ordinari di lunga permanenza dei migranti umanitari giunti in Italia o, meglio, “non luoghi” dell’accoglienza. […]

La condizione è ancora peggiore nei Casp, i Centri di accoglienza straordinari provvisori, introdotti ex novo dal decreto Cutro, la cui natura “iper-eccezionale” non solo conferma la “normalizzazione” dei Centri di accoglienza straordinari, ma legittima l’ulteriore riduzione dei servizi al loro interno, con l’eliminazione anche dell’assistenza sociale […]

Va detto che anche precedentemente al decreto Cutro il sistema Sai si era dimostrato incapace di assorbire integralmente la richiesta di accoglienza nazionale […] ma ora il cambio di indirizzo è netto: se prima rimaneva viva la tensione legislativa e politica verso il modello dell’accoglienza “qualitativa”, oggi tale proposito viene meno […]

L’avere normalizzato quella che avrebbe dovuto essere una forma di gestione straordinaria dell’accoglienza, infatti, consente ora un più stabile ricorso a procedure emergenziali per la realizzazione e l’affidamento in gestione a soggetti privati dei centri di accoglienza governativa. […] ha normalizzato la possibilità per il ministero dell’Interno di aggirare le regole preposte all’efficiente e trasparente spesa delle risorse erariali. […]

Forte è il messaggio simbolico di questo intervento normativo, che si spinge oltre alla “sola” criminalizzazione del fenomeno migratorio, riconducendolo a una realtà capace di minare l’integrità della nazione, innanzi a cui reagire “militarmente”, come in presenza di un aggressore esterno.

[…] La politica del “nemico”, infatti, «aiuta a tacitare preventivamente i rimorsi di coscienza che ci assalgono, come spettatori, alla vista dei bersagli sofferenti di quella [stessa] politica […]. Una volta riclassificati dall’opinione pubblica come presunti terroristi, i migranti si ritrovano oltre la sfera della responsabilità morale […] e soprattutto, al di fuori dello spazio della compassione e dell’istinto di cura» (cfr. Stranieri alle porte, Laterza, 2016).

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